Cosa "cerco" quando guardo una fotografia

Cosa guardiamo in una fotografia? E cosa cerchiamo in una fotografia?

Informazione, conferme, un vago concetto di bellezza? Si forse tutte queste cose e nessuna.

Ci sono fotografie che non ti stancheresti mai di guardare ed altre che guardi velocemente e passi alla successiva senza neppure soffermarti un secondo. Come diceva Barthes nella sua "Camera chiara", non basta lo studium, cioè la perfezione stilistica e formale o contenutistica della fotografia, ma è necessario anche il punctum, l'elemento cioè che "punge" che colpisce e, se vuoi, stona. La capillare diffusione dell'immagine (spesso portiamo sempre con noi una macchina fotografica: il telefonino) ha, in un certo senso, inflazionato e reso insensibile il nostro sistema occhio-mente che non è più in grado di soffermarsi a sufficienza sull'immagine stessa. Così capita di confondere l'artificio tecnico-stilistico con il punctum e non riflettere più sulla fotografia e sul suo messaggio.

"Purtroppo, sotto il mio sguardo, molte foto sono inerti. Ma anche fra quelle che ai miei occhi hanno una qualche esistenza, la maggior parte non suscita in me che un interesse generico e, se così si può dire, educato: in esse non vi è alcun punctum: esse mi piacciono o non mi piacciono senza pungermi: sono investite unicamente dello studium. Lo studium è il vastissimo campo del desiderio noncurante, dell'interesse diverso, del gusto incoerente: mi piace / non mi piace, I like / I don't. Lo studium appartiene all'ordine del to like, e non del to love; è lo stesso genere d'interesse svagato, piano, irresponsabile che mostriamo per certe persone, certi spettacoli, certi vestiti, certi libri, che definiamo «buoni»."
Roland Barthes "Camera chiara", 1980

Questo apre un altro importante tema che tocca il significato stesso di guardare e vedere. Tuttavia il punto non è tanto il cercare oltre il visibile, vedere ciò che una immagine (sia essa fotografia o altro manufatto artistico) vuole dirci, quanto piuttosto  se essa abbia o meno qualche cosa da dire nel momento in cui si passa dalla sfera del personale a quella del pubblico. Se metto on line delle fotografie personali della mia famiglia queste avranno un valore per me e i miei conoscenti ma potrebbero non averne alcuno per tutti gli altri fruitori della rete. Se, al contrario, espongo una foto frutto di una mia ricerca mi aspetto che esse esprimano un concetto più universale o per lo meno colpiscano molti più osservatori che non solo la mia famiglia.

Ecco allora che la Fotografia diviene ricerca frutto del background del fotografo e ricerca spesso inconsapevole del punctum. Inconsapevole perché sovente il fotografo non è in grado di inserire in modo scientifico e consapevole l'elemento che "punge", che è ben distinto dal soggetto, ma esso si insinuerà nella fotografia perché scaturirà dalla storia personale e dal modo di vedere del fotografo.

Questo ci riporta al concetto iniziale in qualche modo, ossia al fatto che spesso siamo indotti a confondere la foto frutto di studium con la foto che punge. Tuttavia della prima non rimarrà una traccia profonda mentre la seconda si insinuerà e continuerà a parlarci ancora per molto tempo e quando guardiamo una fotografia dovremmo sempre chiederci: “Cosa mi attira in questa foto? La voglio rivedere un’altra volta? Altre dieci volte? Cos’è che mi punge?”.

William Klein

William Klein

Per finire vi propongo un breve esercizio su tre fotografie diverse nello "studium" di un grande fotografo, William Klein. Anche se non si è particolarmente attratti da quel genere di fotografia, soffermatevi a guardarle e troverete in esse un elemento che, anche se casuale (in molte foto non si può ragionevolmente pensare che William Klein abbia avuto il tempo di studiarle), "punge", frutto della sua visione un po' come il marchio di fabbrica, un marchio indelebile che permetterà a chiunque di riconoscere nelle foto il suo autore.

Scene da un derby....

Ieri, il 23 gennaio, all'indomani della festa patronale cittadina, il Novara Calcio ha affrontato in casa l'Alessandria nel derby del Piemonte, reso ancora più interessante quest'anno dall'alta classifica delle due squadre che le vedeva separate da solo un punto a favore dell'Alessandria. Si è trattato di una partita sentita da entrambe le squadre che vedevano nell'incontro un punto di svolta per il loro percorso verso la promozione in serie B. Alla fine la spunterà il Novara con un 2 a 1 non senza emozioni essendo passata in svantaggio.

Quelle che seguono solo il mio contributo fotografico all'incontro e alla cornice di pubblico.


Ho visto la retrospettiva Henri Cartier-Bresson di Roma

La mostra di Roma all'Ara Pacis

La mostra di Roma all'Ara Pacis

Su Bresson si è detto e scritto tutto, non ho molto da aggiungere. Ma la retrospettiva proveniente dal Centro Pompidou di Parigi e fino al 25 gennaio a Roma è stata un'occasione troppo ghiotta per non vederla. Ovviamente molte, se non tutte, le foto sono note almeno per per gli appassionati. Tuttavia la mostra ha avuto, almeno per me, alcuni punti di interesse. In primis ho potuto vedere, per la prima volta, stampe originali dell'epoca di alcuni dei più famosi scatti, e sono state proprio le stampe il punto d'interesse. Stampe ai sali d'argento, molte delle quali eseguite da Bresson stesso, con formati non molto grandi, in alcuni casi si parla di 20x30 ed anche meno: Avevo sempre viste fotografie di Bresson in libri dedicati alla sua arte, sul web, in riproduzioni e persino in pubblicità, eppure non avevo mai visto suoi libri originali o stampe d'epoca. Ed è stato proprio questo uno dei primissimi fattori che mi ha colpito in questa mostra e mi hanno fatto più compredere la grandezza della sua Fotografia.

La stampa, che siamo spesso abituati a veder riprodotta con canoni moderni di una riproduzione grande e molto contrastata, nella mostra è mediamente piccola, raramente supera il 20x30 appunto, e soprattutto non ha un forte contrasto e mascherature eccessive oltre ad avere, a causa dell'ingrandimento ridotto, pochissima grana. Questo fattore rende "diversa" la fotografia che conosciamo, sembra piatta e facciamo alcune volte fatica a riconoscerla ma se ci fermiamo un secondo davanti alla foto ne possiamo percepire la sua grandezza: non una grandezza frutto di un artificio ma per il concetto che esprime e per la sua forza concettuale. Siamo di fronte al concetto di "buona foto" rispetto a quello di "bella foto" che nell'opera di Bresson sembra una costante. La mostra segue un filo cronologico legato da alcuni filoni di sviluppo della sua opera e quindi tutte le foto sono in qualche modo collegate alla successiva come un tutt'uno e non come opera singola e quindi, a mio avviso, poco importerebbe se alcune sono frutto di una costruzione o sono spontanee.

Un altro aspetto interessante della mostra è stato poter vedere in un video della mostra gli scatti a colori in diapositiva realizzati dall'autore. Il colre viene visto come necessario in un momento in cui molte riviste si convertivano a questa nuova fotografia. Ebbene Bresson affronta il colore in modo magnifico, usandolo e non come una traslitterazione colorata della sua fotografia in bianco e nero. Per alcuni versi le sue diapositive mi hanno ricordato alcuni scatti moderni di Alex Webb

Alcuni principi rimarranno per Bresson costanti in tutta la vita e saranno dei principi cardine della moderna Fotografia, egli si esprimeva dicendo che a suo pare "la fotografia ha il potere di evocare e non solo di documentare. Dobbiamo fare astrazione dal vero", un principio assolutamente valido anche oggi a 10 anni dalla sua morte. 

The Paris Apartment

The Paris Apartment

Infine un ulteriore motivo di interesse per me è stata la composizione dell'immagine. Si parte da un aspetto tecnico che salta subito all'occhio: tutto il fotogramma è bene a fuoco, magari dovuto all'uso della tecnica dell'iperfocale a diaframmi chiusi. Tutta la scena è assolutamente leggibile, ed ogni elemento, anche il più insignificante, sembra essere in posizione perfetta. Tuttavia Bresson era un autentico credente del potere del caos, "La composizione si basa sul caso. Io non calcolo mai. Intravedo una struttura e aspetto che accada qualcosa. Non ci sono regole".  Sarà André Breton e la scuola dei surrealisti ad influenzare la fotografia di Bresson, il movimento e di conseguenza l'uso di tempi lenti saranno spesso presenti. Per lui "Il fotografo (e pazienza se sembra maleducato) deve prendere la vita di sorpresa, alla sprovvista".

Alla fine della mostra due frasi mi rimarranno  impresse come somma di tutta la magnifica opera di Bresson: "Per me la fotografia non è un lavoro, ma piuttosto un duro piacere; non cercare niente, aspettare la sorpresa, essere una lastra sensibile" e ancora "Quel che conta in una fotografia, è la sua pienezza e la sua semplicità".